“I libri sono fatti della stessa materia degli alberi, 

fibre che conservano e trasmettono i sogni impressi nell’uomo”

Giuseppe Barbera, Breve storia degli alberi da lettura (Henry Beyle, 2015)

Non è un mistero che tra la storia dell’uomo, la natura e la letteratura ci sia uno stretto legame sin da tempi antichi. Del resto, la parola libro deriva dal latino liber (la scorza interna dell’albero che, dopo esser stata disseccata, era usata dagli antichi per scrivere), mentre book è una variazione del germanico bōk che, semanticamente, afferisce a beech, cioè faggio.

Qualche giorno fa, ho avuto il piacere di intervistare un’ex allieva del percorso Professionale, purtroppo conosciuta troppo poco perché il Covid, dopo il primo quadrimestre del 2020, ha imposto la tanto odiata didattica a distanza. Oggi, ritrovo Annamaria Panzeri più serena, sorridente e con gli occhi spalancati sul futuro. L’amore per i fiori e il suo sogno nel cassetto l’hanno portata a frequentare l’indirizzo Agroalimentare dell’ITS della Fondazione per realizzare poi il suo sogno nel cassetto, aprire un negozio in cui trattare i fiori eduli, argomento di discussione della tesina del IV anno quando, mi racconta, si era cimentata nella produzione di marmellate di rose e viole, di tisane alla malva e alla menta.

C’è qualcosa in più. Le piacerebbe portare un po’ di poesia nel suo negozio, un tocco di letteratura legata alla botanica perché le due materie si intrecciano inevitabilmente già a partire dal ‘300 quando Petrarca, del tutto inconsapevole e in anticipo di circa seicento anni, creava il “paesaggio dell’anima” per cui l’ambiente è il mezzo per rivivere, sul piano emotivo, vicende personali e comunicarle al lettore, un modo per fuggire gli sguardi e riflettere sulla propria condizione. La vera consacrazione giunge nell’800: con Leopardi la Natura si fa ora benigna, ora matrigna, con Carducci diviene cornice della disillusione che solo una società in evoluzione può generare e con Pascoli è trasfigurata in visione rasserenante, ciclica e rituale.

È come se Annamaria facesse sue le lezioni di questi poeti perché scrive che […] la natura ti insegna/ a dare un senso/ al tuo esistere su questa terra/ fino all’ultima goccia/ della tua essenza. Appare evidente che per lei la Natura, come entità e ambiente che la Fondazione Minoprio l’ha aiutata a conoscere e coltivare, abbia un senso che prende spessore se surrogato dalla fantasia.

Le chiedo di parlarmi di una delle sue poesie preferite e mi fa leggere Foglie, apparsa nella collana Luci sparse 77 (Pagine), dedicata ai giovani poeti emergenti.

Volteggiante 

elegante 

terminando la sua danza 

cullata da un addio di rami 

che ormai non la tengono più stretta tra le braccia 

arrossisce già nostalgica 

e di un tramonto vestita 

racconta al mondo la sua storia magica 

di un autunno che prima di lasciarla andare l’ha tanto amata.

Tramite una sorta di personificazione, Annamaria si riconosce in una foglia che si lascia andare dopo aver perso qualcuno di molto importante che l’ha amata molto e che lei porterà sempre con sé.

Fondamentale nel sostenerla è stata la sua famiglia, soprattutto la nonna, scomparsa nel 2019; era sua amica e confidente e a lei ha dedicato molte poesie definendola “stella”, una guida che le parla attraverso l’ambiente circostante e la aiuta ad accettare cose, spesso, inspiegabili.

Annamaria, fin da bambina ha sentito di avere qualcosa dentro che ha sempre fatto molto rumore, come se avesse bisogno di un altro modo, rispetto all’Anna che tutti conoscevano, di tirare fuori se stessa e ciò che era davvero; scrivere è parte di lei, è per lei salvezza in un mondo che a volte ci schiaccia.

Per lei la poesia è vento caldo che soffia sull’anima, oasi di libertà che le permette di essere se stessa senza nascondersi, cascata di emozioni che le riempie il cuore di colori, un rifugio consigliato ai più.

Negli anni si è nutrita di quei poeti che nella natura hanno trovato un’amica e un conforto. Primo fra tutti, Leopardi che, col suo dolce naufragar, l’ha portata oltre i confini, oltre i turbamenti propri degli adolescenti, oltre le difficoltà di una vita non sempre clemente.

Quando scrivo mi sembra di staccarmi da me stessa, uscire dal mio corpo e approdare in un altro mondo. Nei momenti in cui vorrei scappare via, lontano, scrivo e lo faccio con la mente”.

Ha scritto tanto durante gli anni del Covid (e continua ancora oggi, dal momento che è impegnata nella stesura di un romanzo autobiografico), trasformando la chiusura forzata nel periodo più prolifico della sua vita e ha continuato fino a che, nel 2022, ha osato e ha deciso di raccogliere tutto in un libro.

Non avevo nulla da perdere, ci ho provato. Magari non mi avrebbero pubblicata e, invece, ho trovato una casa editrice (la stessa Pagine che le aveva già dato visibilità nell’ambiente) che ha visto qualcosa nelle mie poesie e ha creduto in me”.

Si è occupata dell’organizzazione del materiale, dividendo le poesie in sezioni e dando loro un ordine; ha scattato delle foto per la copertina che trasmettessero il suo amore per la poesia e, così, è nato “Carezze al cuore”. Mi racconta un aneddoto sul titolo che lei stessa ha scelto. Per presentare il suo libro, è stata invitata a Roma dalla trasmissione della casa editrice che l’ha pubblicata, Poeti e Poesie. Il conduttore, Plinio Perilli, le ha mosso un’obiezione in merito al titolo perché deviante rispetto al contenuto: un titolo così delicato fa pensare a poesie meno aspre e tormentate, ma rappresenta proprio quello che Annamaria voleva, carezze per se stessa e da regalare a chi ne avesse bisogno.

Prof.ssa D’Alessandro Daniela